Techne e Techne
Teche e Techne.
Non siamo noi l’ultima lanterna che siamo, nella tetra palude della ragione?
Platone inaugura la modernità con la teoria delle idee, da allora l’uomo assiste al crollo verticale della propria umanità.
L’idea nella sua accezione più moderna è la pura e semplice concrezione del verbo in oggetto.
Il verbo non può predicarsi di nulla, dacché esso non è ascrivibile all’alveo delle cose di cui si può dire.
La presenza del verbo è la presenza del presente, mentre il sostantivo è il fermo immagine che l’esigenza temporale dell’io e delle sue categorie reclama.
Il bene platonico, l’insieme degli insieme, la categoria somma, postula la volontà di potenza dell’uomo ben prima che la scienza facesse il suo corso. In effetti, la scienza è un prodotto dell’invenzione platonica del To Agathon.
To Agathon, come riferisce Heiddeger, non traduce il sommo bene che mnemonicamente si attribuisce all’ente supremo al vertice della piramide delle idee. Esso è piuttosto il riflesso della tendenza nichilista dell’uomo. To Agathon è infatti l’atto di essere “buoni per”.
Questo essere “buoni per” è il delitto perfetto che sostituisce sibilinamente la categoria del giusto a quella dell’utile.
Non deve stupire che oggi l’agire umano si misuri nella utilità dell’atto. Teche e Techne.
La tecnica ha predisposto ogni azione, esibendo tutta la propria pre-potenza (per approfondire), sino a sostituirsi al pensiero e divenire mezzo e fine dell’uomo.
L’uomo agisce se la tecnica comanda, pervenendo alla conclusione che la tecnica sia quel pensiero calcolante cui l’uomo ha delegato il compito di pensare. La tecnica è pertanto una eggregora che prelude alla entificazione dell’uomo, che espunto dalle grazie dell’essere diviene congegno per la tecnica. Finisce così, da pensante che era, a essere oggetto pensato. Il soggetto che pensa è stavolta la tecnica, cui l’uomo ha delegato il proprio pensiero.
I recenti fatti di cronaca sanitaria denunciano la destituzione del pensiero e il primato della tecnica sull’essere, quest’ultimo relegato al rango di religiosità o vaniloquio.
Per quanto io fossi genuinamente convinto dell’efficacia e della bontà dei vaccini, non posso fare a meno di constatare, senza per questo meravigliarmene, che la risposta alla pandemia si è sostanziata nella religiosa venerazione della ragione tecnica.
La presunta libertà a cui l’uomo ambiva con l’emancipazione nella carne gli si è rivolta contro, perché ha perduto la libertà di scegliere l’irrazionale. Ogni fenomeno ha una causa e un effetto. Si rinunzia in tal guisa alla vera condizione emancipante che è l’essere causa e principio per se stessi. Imbrigliati dalla ragione, giudichiamo reale ciò che è razionalizzabile (Hegel), e ascriviamo alla mera superstizione ciò che discende da principi irrazionali, sino a ridicolizzare l’idea stessa che possa esistere un irrazionale. L’uomo, lanterna di luce nel tetro ossario della ragione, si arrende al giogo dell’ente.
Techne e Techne, perché ni – ente v’è fuori della tecnica.
Dimentica forse la morte che una danza intorno alla sua falce può resuscitare i morti e pure i vivi?