Dello zucchero a forma di cuore

Dello zucchero a forma di cuore

Dopo avere scritto del mio primo innamoramento e degli spensierati anni della mia infanzia, credo sia giunto il momento di raccontare di C.

Tra pallonate, corse forsennate e giochi da bimbi, le donne erano l’ultimo dei miei pensieri. Tendevo perlopiù a tenerle distanti. Ero appena incappato nel contrattempo F., quella candida e bionda bimba che mi aveva iniziato alla vita adulta. Trascorse del tempo, un anno a occhio e croce, quando mi parve di avere finalmente chiuso con le femmine. Non potevo immaginare cosa avrei affrontato l’estate della mia seconda media. Era una tiepida sera d’Agosto. Il tramonto ormai incipiente lavava l’adrenalina della irrinunciabile sessione di giochi pomeridiani con gli amici di sempre, quando accadde l’inatteso. Si aggiunse a noi una ragazzina, appena più piccola di me, scura, bruna come le olive mature appena prima della raccolta. Pareva una giovane Cleopatra. Mi parlava e io rispondevo, ma il tempo iniziava a rallentare. Da dove fosse venuta io lo sapevo, aveva sempre vissuto nel mio stesso parco, ma non l’avevo mai vista davvero; l’evento occorre. Lo spirito è come il vento, soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va. Così l’amore coglie impreparati e quando meno te lo aspetti ti agguanta e ti fa suo.
Parlavamo del più e del meno, di scuola e di vita, ci raccontammo in una sera tutto quanto potessero confessarsi due bambini. Nel frattempo avveniva in me un’alchimia, una magia cantata nel linguaggio dell’amore che come un’orchestra solleva l’anima e poi la risveglia alla realtà. Io pensai “una femmina intelligente”. E tra una parola e l’altra, la pelle bruna si faceva chiara e il suo dire colpiva oltre il senso opaco delle parole.
Due scene non dimenticherò mai di quella sera. La prima, della lunga chiacchierata sul muretto del cantiere di cui pure vi ho messi a parte su questo blog. La seconda, del mio ritorno a casa, frastornato, e della promessa che le feci quella notte prima di chiudere gli occhi: tu sarai mia, mi giurai. E poi crollai nel mondo di sogno e coscienza alterata nel quale già ero piombato come naufrago da qualche ora. Dolce deliquio dell’anima.

Quando dico che non l’avevo mai vista davvero, intendo che l’anima ama il nascondimento. Physis kipristai philei. Solo la kinesis, il movimento, tradisce sprazzi della soffusa luce che avviluppa i cuori. Chi osserva quella luce a cuore nudo, ne rimane abbagliato. Un seme si pianta negli occhi di chi osserva e da lì nascono i sogni che noi tutti, nelle limpide sere d’estate a occhi aperti sogniamo.

Nei giorni a venire fu una rincorsa ad averla. Amavo, dapprima in silenzio, poi con rumore. Mi agitavo, mi dichiaravo, le confessavo il mio amore. Lei non voleva saperne. Non potete voialtri comprendere, se non avete amato, cosa significa affogare nella libido. Desiderio non di carne, ma di pelle. Il pensiero che solo sa dirigersi alla propria meta, fantasticando di baci rubati e labbra sfiorate, mentre là fuori il mondo è un motore fuori giri. Il giorno diventava un’opportunità, l’attesa una chimera. E quante notti sognai che finalmente lei si concedesse.

Uno degli inverni che seguirono la nostra conoscenza, ricevetti una generosa dose di dolci. In quegli anni la befana era ancora in servizio. Tra le innumerevoli caramelle, attenzionai una una singolare bustina di plastica trasparente, perfettamente sigillata, della grandezza di un paio di pollici. Conteneva dei piccoli cuori di zucchero dal colore rosa quarzo. Non saprei confessarvi cosa mi fece illudere che quelle caramelle avessero il potere di farla capitolare, quasi come una pozione d’amore. Attesi mesi (o forse anni) il momento adatto per offrirgliene una. Lo zucchero non scade. Dopo un tempo indeterminato ritrovai la bustina, la aprii, assaggiai una caramella e svuotai il contenuto rimanente nell’umido. Forse, sull’innamorato quelle caramelle dovevano sortire l’effetto opposto e spegnere l’amore.

Chi è abituato alla logica dell’opportunità è persuaso della linearità del tempo, ma il tempo avanza capriccioso, talvolta, per brevi istanti, pure arretra. Quanto dura un’infanzia? Finché da un bimbo non è tratto un uomo. Non la scuola, non le stagioni tiranneggiano i cuori. Quando lo spirito è maturo, ci guardiamo indietro e ci illudiamo di ricordare, tante estati, tante primavere. Ci osserviamo più grandi, nella pelle nuova che non muta, ma inspessisce. E’ l’evento che caccia l’uomo o è l’uomo a cacciare l’evento? Non siamo noi le sentinelle deste che siamo?

E fu così che C., più che poesia, fu passaggio. Caronte incolpevole che afferra la gola e scolpisce nel ferro, finché la mente non capitola e consegna le armi al destino.

La cotta durò due interminabili anni, mai ebbi quella ragazza che oggi è donna. Volere e potere parlano accenti che solo si sfiorano, ma sempre divergono. Chi comprende questo, conosce la vera forma della primordiale pulsione che in estate scalda i cuori e in inverno li riscatta. Shalom a te, C., che pure nella nervosa assenza del tuo consenso, rendesti la mia vita colorata.

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