Che brutta fine, le mascherine 🎶

Che brutta fine, le mascherine 🎶

Non scrivo da un po’. Mancano gli stimoli e ho esaurito ogni superstizione. Non del tutto, ci mancherebbe, ma l’illusione ha cessato di appartenermi. Neppure dai sogni viene nulla di buono. La noia avvolge le giornate come un serpente la preda. Qualche mese fa chiacchieravo con B. e convenivamo sul seguente assunto: l’antidoto alla noia è la scoperta. Quando si è bambini il senso del mondo è nell’esplorazione. L’età adulta congela il mondo, che diventa un ghiacciolo disponibile al consumo.
Ma se tutto è a portata di mano, cosa resta da scoprire?
Ogni mondo è un modello, interpretabile a seconda dell’opportunità.
Nel frattempo ho elaborato una nuova teoria sul bello. Più robusta. Una paraculata comportamentista. Il comportamentismo è utile perché è il jolly di qualunque teoria sociale. Non sai che pesci prendere? Vai di comportamentismo!
Oggi però non vi parlerò del bello.
Vi parlerò del brutto.

Nel lontano 2018 partii per Genova. Non mi andava troppo a genio la nuova destinazione. Mettetevi nei panni di un ventitreenne: prima esperienza fuori casa e una manciata di ore per prepararsi psicologicamente.
Prima di conoscere F., presi l’abitudine di attendere il fine settimana per blindarmi in casa. Mi incarceravo di mia sponte. Facevo scorte di cibo e acqua. Sul comò un libro e ai piedi del letto il computer. La lettura leniva l’attesa del sospirato ritorno a casa.


La stessa abitudine mi accompagnò a Reggio Emilia gli anni successivi.
A Ottobre 2021, appena un mese prima che la mia vita cambiasse radicalmente, venne a trovarmi E.
E. è la ragazza che segnò l’estate del 2021 (e forse l’intero anno)
L’estate del 2021 fu l’estate degli europei, l’estate delle mascherine, l’estate del restate a casa ma andando al mare o l’economia non gira.
E. mi piaceva. La nostra era una storia a tempo. Io lo sapevo, lei più di me.
Quel lontano Ottobre fu l’ultima volta che l’avrei vista. In cuor mio ne ero convinto. Il cuore anticipa verità che la mente tace.
Dormimmo insieme. Per la notte parcheggiò la macchina poco fuori le mura di Reggio.
Il giorno seguente non volevo lasciarla andare, e lei non voleva andarsene.
Aveva piovuto l’intera giornata. Pranzammo in un ristorante in Vicolo Broletto. Lei smarrì l’ombrello.
Dopo pranzo tornammo a casa.
Il letto avrebbe molto da raccontare del lungo pomeriggio che seguì (pensate male, ma non troppo).
Scoccò infine l’ora fatale. Lei doveva fare ritorno a casa. Quasi duecento chilometri fino a Milano.
Mi assalì un magone tremendo. Il cuore mi si appesantì, come se anziché sangue avesse preso a pompare piombo. Provavo a memorizzare ogni istante di quegli ultimi minuti insieme. Ogni passo era una emorragia. Alla fine arrivò alla sua macchina.
Se me lo aveste chiesto, avrei giurato di ricordare perfettamente che auto avesse. Oggi però la memoria vacilla.
Tornando a casa, mi sembrò che la strada non finisse mai. Ogni passo era una agonia. La pioggia scrosciante opponeva resistenza al mio cammino. Rincasato, insieme alla porta si chiudeva un’epoca della mia vita.

Ho sofferto tanto, e tanto ho combattuto.
Anche per questo la noia non mi scalfisce.
La noia è come l’occhio che si abitua alla luce. Lo squarcio al velo di Maya.
Le risposte arriveranno.
Non ho mai rinunciato a combattermi. Fu così che abbandonai la superstizione. Se non è questo Bushido…

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