
L’uomo è per il mistero
La differenza tra l’adulto e l’infante è lapalissiana. Quando noi ci interroghiamo apertis verbis sulla questione, emerge a tutta prima l’alterata struttura anatomica. La risposta non riesce però soddisfare. La domanda reclama una risposta più dettagliata. Immaginando tuttavia di porre il medesimo interrogativo ad un infante, la sua risposta convergerà sulla differente fisicità occorrente tra lui stesso e il generico adulto, e probabilmente esclusivamente su quella. Questo non perché il bambino manchi di profondità verticale, che anzi l’adulto tende a disperdere. La vera ragione per cui la domanda non avoca a sé l’attenzione urgente del bambino, che pare invece accontentarsi di una risposta del tutto “cosmetica”, è che questi difetta della storicità propria dell’adulto.
La storicità dell’adulto e lo smarrimento del mistero come categoria inferenziale
Crescendo, al bambino è dischiuso un mondo. Questo mondo è il risultato del suo commercio con le cose. Quando l’infante infanteggia, la cosa non è mai un “ente” da scrutare e teorizzare. Nel suo infanteggiare, l’unica struttura nota all’infante è l’usabilità in-vista-di…, dove il “di” della “in-vista-di”, è l’oggetto della projezione. Una projezione del tutto pratica, che anela-a, senza domandarsi se un siffatto anelare possegga i requisiti per trasformare la projezione in realtà fattuale. Quando il commercio con le cose viene meno, sicché lo strumento fallisce, l’infante aggiusta le proprie mire. Di toppa in toppa, l’uomo perfeziona la sua tecnica, sacrificandone tuttavia lo scopo. La teoria aggredisce il mistero, ma non perché ci si attenda che lo strumento, ora perfezionato teoricamente, non abbia più a fallire, quanto perché lo spazio ignoto dell’uomo, colmato dal suo teorizzare, sia ridotto all’inconsistenza.
L’inconsistente spazio vuoto, è tutto e solo il mistero. Il fagocitante pronunciarsi della tecnica, comprime i confini dell’ignoto. L’horror vacui da sempre affligente l’uomo, è colmato dal rassicurante “essere-qualcosa”, che come rimedio e projezione la tecnica offre all’uomo. Se però tutto è noto, l’enigma è divelto, e il senso del mondo, che è fondamentalmente scoperta, cede alla volontà di potenza dell’uomo.
Dischiudere un mondo diverso
Dinanzi alla volontà di projezione dell’uomo, il mistero si annulla. Annullandosi il mistero, anche l’atto ultimo dell’uomo, la morte, è assaporata come quella fastidiosa contingenza cui al momento la tecnica non può porre rimedio, in attesa però dell’ennesima rivoluzione copernicana di qualche nuova scienza emergente, pronta coi suoi balsami curativi e lenire l’uomo dalle sue ferite.
Ecco dunque la reale differenza tra l’uomo e l’infante. L’uomo non conosce più la morte, mentre il bambino la sperimenta quotidianamente nel mistero. La morte non è qui intesa come morte fisica, quanto come rinuncia al libero pronunciarsi dell’ente. In un mondo di risposte, l’azione più rivoluzionaria che l’uomo possa concedersi è la rinuncia alla domanda.
L’uomo savio è quello pazzo.